venerdì 25 novembre 2016

L'arte di essere fragili // Giacomo Leopardi // USUA n.2

Ciao a tutti, al rapporto è Olivetta!
Benvenuti in un nuovo post per la rubrica USUA in cui il mio è intento è quello di farvi conoscere il mio punto di vista su autori in generale, perché anche questa volta si parla di un autore che sono certa conoscerete, ma che mi dispiace che non ve lo abbiano fatto conoscere in una veste più positiva.
Il fatto che sottolineo "positiva" vi fa pensare a qualcuno? Talaltro lo pubblico di venerdì proprio perché di venerdì questo autore nacque.
Ebbene sì, oggi ho intenzione di parlarvi di Giacomo Leopardi e per parlarvi di lui, mi farò aiutare uno scrittore che da poco ha pubblicato un libro su di lui, così dopo che il mio post, potrete ampliare la vostra conoscenza: il libro in questione è di Alessandro D'Avenia e si intitola "L'arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita".



Me lo ricordo come fosse ieri. Ero alle scuole medie e la prof aveva introdotto l'autore che avrebbe di lì a poco a spiegare come una premessa "Promettetemi che non diventerete depressi."
Nel mio piccolo avevo già sfogliato le pagine de mio libro d'italiano e conoscevo alcune sue poesie fra cui la classica "Il sabato del villaggio" e "La sera del dì festa" che mi avevano colpito per il loro presentare la tematica della "festa", ovvero la giovinezza, come un periodo della vita fugace e così inafferrabile, che anche quando ci sei dentro non puoi che rimpiangerla.
Quella battuta, ironica o no che fosse, già allora mi aveva ferito come tutt'oggi mi feriscono intellettualmente tutti coloro che associano il nome di Leopardi solo al pessimismo, giusto perché il manuale d'italiano e i critici che lo hanno studiato forniscono di lui, solo questa definizione che ha la sola conseguenza di "relegarlo" ma credetemi, Leopardi è molto di più.
Quando poche settimane fa ho scoperto l'uscita di questo libro ne sono stata immediatamente entusiasta perché finalmente ho scoperto una cosa: che non ero l'unica che considerava la bellezza di Giacomo Leopardi, con un sottotitolo ancora più gratificante "come può salvarti la vita", perché sì, anche io sono stata salvata da Giacomo.
Ora voi mi direte, positività? Bellezza? Salvare la vita? Leopardi? Ma quando?
Beh sì, abbiate fede e continuate a leggere mentre vi parlo di lui, perché la verità sta nella mente di chi ascolta.

Giacomo Leopardi nacque in una famiglia aristocratica il 29 giugno 1798 a Recanati, che il poeta chiama "il natio borgo selvaggio", in provincia di Macerata nelle Marche. Primo di sette, dimostrò fino dai primi anni una straordinaria intelligenza ed un particolare desiderio di conoscere, pur non tralasciando i giochi dell’infanzia e godendo della gioiosa compagnia dei fratelli.
Si può dire che nasce in una biblioteca: il padre, dotato di squisiti gusti letterari e artistici, riuscì a collezionare un'importante biblioteca domestica, contenente migliaia di libri religiosi, filosofici, testi filologici e che vedrà il giovane Giacomo frequentatore assiduo, tanto che a tredici anni già si dilettava in letture greche, francesi e inglesi, insensibile alle esortazioni di chi avrebbe voluto per lui la conduzione di una vita più sana e dinamica.
Leopardi cresce nel culto della filologia, dello studio delle letterature e delle lingue classiche,  e traduce, versifica, volgarizza i grandi esempi della letteratura greca e latina. Ma il padre Monaldo, che è uomo conservatore, conserva anche nella parte più nascosta della sua biblioteca, anche i pericolosi testi degli illuministi francesi. Ed anche quelli il giovane Leopardi legge con interesse, prima per esecrarli nelle sue prime dotte dissertazioni filosofiche per appassionarsene sempre di più.
Intorno al 1815 la passione per la poesia e per la scrittura comincia a divenire predominante, quella che viene convenzionalmente definita la "conversione letteraria", dalla filologia, dalla passione per la letteratura antica alla scrittura in proprio, scrittura più matura dei cosiddetti “testi puerili”; il passaggio cioè dalla semplice erudizione alla poesia, quella che lo stesso definì "passaggio dalla erudizione al bello".
Famosa l'allegoria di sé come un uccello prigioniero, a diciotto anni scriveva odi greche facendole credere antiche, e cominciava a pubblicare opere d'erudizione storica e filologica.
Nella biblioteca di casa trascorre i "sette anni di studio matto e disperatissimo" nella volontà di impossessarsi del più ampio universo possibile nelle più svariate materie, studiando, traducendo e commentando opere classiche, di cui rimangono numerose composizioni in prosa e poesia, su argomenti storici, filosofici ed anche scientifici, sia in italiano che in latino: sono anni che compromettono irrimediabilmente la salute di Giacomo, che precocemente soffriva di una forma di ipersensibilità che lo teneva lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire, tra cui vanno ascritti di diritto i rapporti interpersonali.
Negli anni si manifesta in lui il desiderio di tradurre in poesia le sue emozioni: nascono così i primi Canti "Le rimembranze" ed "Il primo amore", quest’ultimo ispirato da un sentimento nuovo, l’amore, che sarà per lui nel tempo fonte di passione e di continua sofferenza.
Il poeta aspira ad un'infinita felicità che è totalmente impossibile; la vita è inutile dolore; l'intelligenza non apre la via ad alcun mondo superiore poiché questo non esiste se non nell'illusione umana; l'intelligenza serve soltanto a farci capire che dal nulla siamo venuti e al nulla torneremo, mentre la fatica e il dolore di vivere nulla costruiscono.
Nel 1817, sofferente per una deformazione alla colonna vertebrale e per disturbi nervosi, nasce l’amicizia, inizialmente solo epistolare, di Giacomo con il letterato piacentino Pietro Giordani, cultore del purismo e del classicismo, che educa Leopardi per lettera, alla massima severità negli studi e nei gusti e nelle predilezioni letterarie, e che per primo riconobbe nel giovine il futuro genio e che conoscerà di persona solo l'anno dopo, e presterà sempre umana comprensione agli sfoghi dell'amico.
È del 1819, il tentativo che Leopardi fa di inserirsi all'interno della polemica tra classici e romantici: il movimento romantico in Inghilterra e soprattutto in Germania stava avendo un grande successo e alcuni a Milano soprattutto, tentavano di importarlo in Italia. Il giovane Leopardi, in questo testo che resta inedito, "Discorso di un italiano intorno poesia romantica", rinnega frontalmente l’immaginario nordico, cupo, medievale che proveniva dal nord Europa appunto, prediligendo invece, in omaggio a maestro Giordani, un immaginario limpidamente classico e solare.
In quegli anni elabora anche un pensiero, una teoria propria, una teoria del piacere, dei sensi, una teoria del godimento corporeo che ormai è assolutamente incompatibile con l’ortodossia cattolica e religiosa. In questo periodo il grande poeta comincia fra l'altro ad annotare questi primi pensieri per lo "Zibaldone", un’opera in prosa la cui stesura occuperà gran parte della sua vita e la più alta espressione del vastissimo pensiero leopardiano, un acuto studio di sentimenti umani, un esame approfondito dei più vari argomenti; una raccolta di pensieri, annotazioni delle più diverse di argomento inizialmente soprattutto filologico, che hanno a che fare con l’etimologia delle parole, con le letture, le più diverse che faceva in quegli anni e man mano diventano un colossale scartafaccio con più di quattromila carte manoscritte, dedicato proprio alla definizione della poesia, della letteratura e alla costruzione di un qualcosa che assomiglia a un sistema filosofico indipendente.
Nel 1819 videro la luce gli idilli "Alla luna" e "L’infinito": quest’ ultimo si può considerare la più alta espressione del genio poetico leopardiano.
Desideroso di più ampi orizzonti e sperando di trovare fuori di Recanati ambienti più stimolanti e culturalmente più aperti, sogna di lasciare la casa paterna. A tale scopo chiede ed ottiene il passaporto (allora necessario) per recarsi a Milano, ma contrastato nel suo progetto dal padre, si rassegna poi a rinunciare alla partenza. Ma la delusione non influisce sulla sua produzione letteraria, anzi in quel periodo compose numerosi idilli e canzoni, citiamo "Ad Angelo Mai", "La sera del dì di festa", "La vita solitaria", "Il sogno", "Nelle nozze della sorella Paolina", "Ad un vincitore del pallone", "Alla primavera", "Ultimo canto di Saffo" e sono di quel tempo anche le sue prime operette satiriche.
Intanto, è colpito da una grave malattia agli occhi che gli impedisce non solo di leggere, ma anche di pensare. Matura in questo clima la cosiddetta "conversione filosofica", ossia il passaggio dalla poesia alla filosofia, dalla condizione "antica" (naturalmente felice e poetica) alla "moderna" (dominata dall'infelicità e dalla noia), secondo un percorso che riproduce a livello individuale l'itinerario che il genere umano si trovò a compiere nella sua storia. In altre parole, la condizione originaria della poesia si allontana ai suoi occhi sempre più nelle epoche passate, e appare irriproducibile nell'età presente, dove la ragione ha inibito la possibilità di dare vita ai fantasmi della fantasia e dell'illusione.
C’è il tempo finalmente per una prima esperienza fuori dal "natio borgo selvaggio", verso la capitale del classicismo internazionale, la sede delle antiche memorie, e col permesso paterno, nel 1822 poté finalmente recarsi a Roma, dove si fermò qualche mese ospite dello zio Antici, realizzando il suo sogno di uscire da Recanati dove si sentiva prigioniero di un ambiente mediocre, che non lo sapeva né lo poteva comprendere. La capitale però lo deluse non solo per la sua vastità dispersiva, troppo frivola e poco ospitale, ma anche e soprattutto per il modesto livello culturale della sua società, con l’eccezione di alcuni personaggi.
Tornando volentieri a Recanati, i versi di questo periodo sono ancora tutto sommato legati ai modelli classicistici e si interrompono all'altezza del 1824, quando c’è una vera e propria crisi nel sistema poetico di Leopardi che coincide con il lavoro sulla prosa, ed in particolare su una straordinaria sperimentazione di una prosa non narrativa, compose la maggior parte "Operette morali", un esempio di prosa non narrativa sospesa tra saggistica morale ed invenzione fantastica. Opera di alto contenuto filosofico, celato talora sotto una veste leggera e satirica. Nonostante l’avvenuta pubblicazione di alcuni suoi lavori, il poeta era allora sconosciuto dalla maggior parte degli Italiani.
Recatosi a Firenze nell'aprile del 1830, la sua frequentazione del "Gabinetto Vieusseux", circolo letterario dove si incontravano i più notevoli esponenti della cultura contemporanea, conobbe fra gli altri Alessandro Manzoni e l’esule napoletano Antonio Ranieri con il quale in seguito strinse una forte amicizia il cui sodalizio durerà sino alla morte del poeta.
Tornando alla poesia solo nel 1828, scrive alla sorella Paolina che ricominciò a comporre versi veramente all'antica, con l’entusiasmo e la freschezza dei primi anni infatti i mesi seguenti sono fecondi di opere: "A Silvia", “Il passero solitario”, “Le ricordanze”, “La quiete dopo la tempesta”, il “Canto notturno” ed “Il sabato del villaggio”; sono i canti più celebri, quelli più distesi, quelli in cui Leopardi elabora anche una nuova poetica e nuove soluzioni formali e rivoluzionarie.
La tranquillità economica data dagli amici toscani gli permette di ritornare a Firenze dove ebbe modo di conoscere e frequentare la bella Fanny Targioni Tozzetti che sarà l’ispiratrice del "Ciclo di Aspasia", costituito da i canti "Il pensiero dominante", "Amore e morte", "Consalvo", "A se stesso", "Aspasia".
In questo soggiorno fiorentino Leopardi incontra nuovamente Antonio Ranieri e di comune accordo essi decidono di unire le poche risorse economiche di cui dispongono per trasferirsi insieme a Napoli. Questa città attrae Giacomo per il clima più favorevole alla sua precaria salute e per la vivacità culturale che la distingue. Nel 1836, per sfuggire alla minaccia dell'epidemia di colera, si trasferisce con Ranieri alle falde del Vesuvio a Torre del Greco nella villa di un parente, dove compose due grandi liriche: "Il tramonto della luna" e "La ginestra".
Tornato a Napoli stanco e sofferente, non può realizzare il nuovo desiderio di un ritorno a casa perché le sue condizioni di salute peggiorano. Morì improvvisamente il 14 giugno 1837 a Napoli a soli quasi 39 anni per l'aggravarsi di un'idropisia polmonare che lo affliggeva da tempo, tra le dolci cure di Antonio e della sorella Paolina Ranieri. La tomba fu traslata accanto a quella di Virgilio, nel Parco Vergiliano a Piedigrotta, in una zona di Napoli di nome Mergellina.
La vita di Giacomo Leopardi in sé è povera di vicende esteriori: è la "storia di un'anima". (Con questo titolo il Leopardi aveva immaginato di scrivere un romanzo autobiografico). È un dramma vissuto e sofferto nell'intimità dello spirito ma senza dubbio, la sua figura è diventata quella di un grande maestro della letteratura italiana.

"Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?" Sono domande comuni, ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste pagine Alessandro D'Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l'incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi. Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l'indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D'Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d'Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l'Islandese... Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza. La sfida è lanciata, e ci riguarda tutti: Leopardi ha trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi? Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo manifestare nel mondo, per poter dire alla fine: nulla è andato sprecato?
In un dialogo intimo e travolgente con il nostro più grande poeta moderno, Alessandro D'Avenia porta a magnifico compimento l'esperienza di professore, la passione di lettore e la sensibilità di scrittore per accompagnarci in un viaggio esistenziale sorprendente. Dalle inquietudini dell'adolescenza - l'età della speranza e dell'intensità, nei picchi di entusiasmo come negli abissi di tristezza - passiamo attraverso le prove della maturità - il momento in cui le aspirazioni si scontrano con la realtà -, per approdare alla conquista della fedeltà a noi stessi, accettando debolezze e fragilità e imparando l'arte della riparazione della vita. Forse, è qui che si nasconde il segreto della felicità.
Da questo libro l'autore ha tratto un racconto teatrale che porterà in giro per l'Italia.

Adoro che il libro di D'Avenia sia fondato sull'idea che Leopardi avrebbe voluto scrivere una lettera ad un ragazzo del ventesimo secolo, quindi in forma epistolare decidere di fare l'inverso e scrivere numerose lettere allo stesso Leopardi, come amico e confidente. Deliziosamente cronologico, sia per quanto riguarda l'ordine della stesura delle sue opere che la maturazione dell'idea in lui di Giacomo, descrive come si vive il periodo delicatissimo dell'adolescenza attraverso i dettami della filosofia leopardiana, aggiungendo degli aneddoti della vita dello stesso autore che rimandare a frasi che lo stesso Giacomo già aveva steso in un epoca passata alla nostra, sottolineando che 1800 o 2000 che sia, l'essere umano e le sue emozioni sono sempre le stesse e ponendo domande che possono dare chiarezza.
A fine della lettura, Giacomo e Alessandro invitavano a vedere e sentire l'emozioni di sotto ad un cielo stellato e l'unico pensiero che mi è venuto in mente che se ad onor del vero dovessi dare un parere sia su questa opera che sull'opera intera di Giacomo Leopardi, non basterebbero tutte le stelle del firmamento per darne una giusta valutazione!
Insomma, è consigliatissimo, leggetelo!

Ma ovviamente, il post è su Leopardi, quindi vorrei parlarvi della mia poesia preferita, "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" di cui non mi limito a trascrivervi il testo trovabile ovunque su internet, ma consigliandovi la visione di questo video in cui Arnaldo Foà legge questa poesia sul sottofondo della sonata al "Chiaro di Luna" di Beethoven.


"Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" è senza dubbio la mia poesia preferita in assoluto, sia per quanto riguarda Leopardi che in generale. 
Mi colpisce particolarmente il modo in cui narra con un'estrema schiettezza la vita nella condizione più umana e più legata alla natura possibile, facendo fungere da "filosofo" un semplice pastore che viaggia nella notte alla ricerca del suo perché. Si rivolge alla luna, perché solo essa è capace di "vedere" oltre, essa che ha viaggiato nel tempo e ha visto sotto di sé le vite di migliaia di uomini e animali, paragonata in piccolo allo stesso pastore. Sì, anche animali mette in conto perché nella sua poesia, Leopardi prende in causa l'intero ecosistema, facendo rivolgere addirittura il suo pastore errante alla sua greggia di pecore, come se si interrogassero pure loro sulla loro condizione. 
Con un meraviglioso climax, compie un'analisi sulla "vita mortale" paragonandola alla figura di un "vecchierel" che si affretta con l'intero peso della vita alle sue spalle e che alla fine del viaggio, non può che inabissarsi in un oblio. Quindi la domanda di base è, come si vive, come si evita l'oblio? La dimenticanza del nostro "vagare" e di chi siamo? Il "tedio" che lo assale corrisponde ai quei momenti di "riposo intellettuale" in cui si perde di vista lo scopo primo del vivere. L'inizio del vivere ovviamente è la nascita, e tornando con uno spontaneo flashback all'indietro, racconta di un dì che alla fine dell'analisi risulta "funesto" per tutti, sia per chi nasce in nidi che chi per chi nasce in cune, con la morale che siamo tutti sotto lo stesso cielo e sotto la stessa luna, in fin dei conti


Altre opere meno famose di quelle che conoscerete già, che potete leggere anche qui, che potrei consigliarvi cronologicamente e non per preferenza sono:
fra i canti:
Ultimo canto di Saffo // Alla luna // Le ricordanze // Canto notturno di un pastore errante dell'Asia // Amore e morte // A se stesso // Il tramonto della luna // La ginestra, o fiore del deserto
fra le operette morali:
Dialogo della Moda e della Morte // Dialogo della terra e della luna // Dialogo della natura e di un'Islandese // Dialogo di Tristano e di un amico

Sicché non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita.

Inoltre per ultimo ma non per importanza, non posso non consigliarvi la visione del film "Il giovane favoloso" con alla regia Mario Martone e la meravigliosa interpretazione di Elio Germano.


Bene, Olivetta vi saluta e dà un arrivederci alla settimana prossima e tanti BACI!

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